LA DIMENSIONE ARTIGIANALE DELLO CHAMPAGNE

Ais Varese ha proposto ai propri Soci una serata dedicata ai piccoli produttori di Champagne per conoscere l'altra faccia di una delle regioni vitivinicole più conosciute al mondo. Sei vini degustati alla cieca per capire le differenze senza farsi condizionare dalle etichette




Per la nostra serata dedicata alla Champagne, chi meglio di Samuel Cogliati poteva condurci per mano in questo territorio e portare in degustazione sei interpreti “artigianali"?





Nel famosissimo territorio situato a nord della Francia, contrariamente a quanto si possa pensare, le proporzioni tra ettari vitati gestiti dai "vignerons" sono inversamente proporzionali al numero di bottiglie prodotte. Le famose “Maisons”, infatti, coltivano circa 3.400 ha contro i 30.840 dei piccoli produttori: questo perché la maggior parte delle uve utilizzate per le grandi produzioni sono acquistate e non coltivate direttamente. Sul fronte delle bottiglie prodotte, invece, sono circa 222 milioni quelle dei Négociant manipulant contro i 57 milioni dei viticoltori.








La differenza tra i due differenti approcci produttivi risiede nel tipo di lavorazione. Se nel primo caso la parola d’ordine è la standardizzazione che serve ad ottenere un prodotto sempre uguale negli anni e con profumi il più possibili vicini al gusto della maggior parte dei consumatori, nel caso dei piccoli vigneron cambia completamente la filosofia, a partire dalla conduzione in vigna. Selezione di uve ottenute da vecchie viti, niente diserbo, limitazione dell'utilizzo di sostanze di sintesi, rese mai superiori ai 10.000 kg/ha (in Champagne le rese per ettaro sono espresse in chilogrammi), raccolta manuale al raggiungimento della maturazione completa.






Anche i vini base sono importanti e per ottenere "vin clair" di qualità bisogna fare pressature separate per particelle e curare il successivo assemblaggio dopo fermentazioni naturali e prolungate. Anche la spumantizzazione prevede passaggi obbligati: "tirage" tardivo, non prima di aprile, un lungo affinamento sulle fecce per almeno 24 mesi, un periodo di riposo di almeno tre mesi tra la sboccatura e la commercializzazione.







Tutta questa attenzione ha l’obiettivo di ottenere un vino che sia espressione autentica di territorio, utilizzando uve provenienti da un singolo "cru", se possibile di un'unica annata e a volte con dosaggio zero.

Nella parte pratica della serata abbiamo degustato sei vini alla cieca, senza conoscere i produttori, gli uvaggi e il periodo di affinamento. Nel bicchiere le diverse sfumature dei colori possono far pensare a uvaggi differenti o a maturazioni che possono essere state condotte in acciaio piuttosto che in legno. Anche i profumi sono caratterizzanti dei vitigni e della composizione dei terreni.

Al palato si percepiscono freschezze diverse, con salivazioni più o meno prolungate e profumi che si amplificano nel cavo orale e che confermano la complessità e la qualità dei prodotti. Come consigliato dal relatore non abbiamo valutato le bollicine poiché soggette a troppe variabili e non fondamentali per la valutazione complessiva.



La serata è stata molto interessante e ci ha fatto scoprire un piccolo mondo presente in una delle regioni vitivinicole più famose al mondo, grazie alla grande conoscenza del territorio di Samuel Cogliati, giornalista e penna della nostra rivista associativa Viniplus di Lombardia, nonché piccolo editore indipendente con la sua Possibilia Editore, casa editrice che pubblica molti libri sulla Francia del vino, ma non solo.